Contratti commerciali tra imprese (B2B): quali sono i termini di pagamento?
Generalmente i contratti commerciali tra imprese (B2B) prevedono i termini di pagamento del corrispettivo; ma le parti sono libere di stabilire qualunque termine di pagamento o sono soggette a dei limiti? E qual è la disciplina nel caso in cui non siano i previsti i termini di pagamento nel contratto? Esaminiamo cosa prevede il D.lgs. n. 231/2002.
1. Il Decreto n. 231/2002 sui termini di pagamento nei contratti commerciali
Generalmente i contratti commerciali tra imprese (B2B) prevedono espressamente alloro interno disciplinano i termini di pagamento del corrispettivo; ad esempio è frequente imbattersi in contratti nei quali si prevede un termine di pagamento a trenta o sessanta giorni data fattura, o fffm(fine fattura fine mese), e così via.
Ma le parti sono totalmente libere di stabilire a loro piacimento qualunque termine di pagamento o sono invece soggette a dei limiti derivanti dal rispetto di norme di legge?
E qual è la disciplina che si applica nel caso in cui non siano i previsti i termini di pagamento nel contratto?
Per rispondere a queste domande, occorre esaminare brevemente la principale normativa sui termini di pagamento nei contratti commerciali, ovvero il D.lgs. n. 231/2002 («Decreto 231»).
Il Decreto 231 sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, emanato in attuazione della Direttiva 2000/35/Ce, modificato dal D.lgs. n. 192/2012 («Decreto 192»), ha introdotto nel nostro ordinamento numerose norme che derogano alla tradizionale disciplina del Codice civile, con la finalità di contrastare il fenomeno dei ritardi nei pagamenti, e le conseguenti distorsioni ed ostacoli della concorrenza.
Il Decreto 231 si applica a tutti i pagamenti a titolo di corrispettivo in una transazione commerciale, ovvero nell’ambito di contratti – tra imprese (B2B) o tra imprese e P.A. (B2P) – che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi contro il pagamento di un prezzo.
Dunque, il Decreto 231 si applica alle obbligazioni pecuniarie che hanno fonte in qualunque contratto commerciale tra imprese: compravendita, appalto, somministrazione, contratto d’opera, mediazione, trasporto, deposito, commissione, spedizione, agenzia, concessione di vendita, franchising etc.., ad esclusione dei contratti di credito (mutuo, apertura di credito, sconto, factoring), dei contratti di garanzia (fidejussione) e dei contratti di utilizzazione di beni dietro corrispettivo in denaro (locazione, affitto, leasing).
Come accennato, il Decreto 231 si applica solo ai contratti tra imprese (B2B) o tra imprese e P.A. (B2P), non ai contratti tra imprese e consumatori.
2. I termini di pagamento previsti dal Decreto 231
L’art. 4 comma 2 del Decreto 231 prevede che nelle transazioni commerciali tra imprese (B2B) il pagamento del corrispettivo è dovuto decorsi trenta giorni dalle seguenti date:
- la data di ricevimento, da parte del debitore, della fattura o di una richiesta equivalente di pagamento;
- la data di consegna della merce o la prestazione del servizio, qualora la data di ricevimento della fattura o quella della richiesta equivalente di pagamento non siano certe, oppure la data la consegna della merce o la prestazione del servizio sia successiva a quella di ricevimento della fattura o della richiesta equivalente di pagamento da parte del debitore;
- la data di accettazione o verifica della conformità della merce o del servizio alle previsioni contrattuali, se previsti dalla legge o dal contratto, sempre che la fattura o la richiesta equivalente di pagamento sia pervenuta al debitore in data anteriore. A tal proposito, si prevede che la procedura di accettazione o verifica non può avere una durata superiore a 30 gg. dalla data della consegna della merce o della prestazione del servizio, salvo deroga delle parti (che nel caso di transazioni tra imprese e P.A. deve essere prevista nel bando di gara), e in ogni caso non può essere superiore a 60 giorni.
Non hanno effetto sulla decorrenza dei termini cui sopra le richieste di integrazione o modifica formali della fattura o di altra richiesta equivalente di pagamento.
Dunque – rispondendo al secondo quesito che abbiamo posto all’inizio – nel caso in cui le parti di un contratto commerciale B2B non abbiano previsto nel contratto i termini di pagamento del corrispettivo, si applicano automaticamente i termini di pagamento previsti nel Decreto 231, sopra indicati.
3. La derogabilità dei termini di pagamento previsti dal Decreto 231
Ma – venendo invece al primo quesito che abbiamo posto all’inizio – cosa accade se le parti di un contratto commerciale hanno previsto dei termini di pagamento diversi da quelli previsti dal Decreto 231?
In particolare: essendo certamente lecito qualsiasi accordo che preveda un termine di pagamento inferiore a quello previsto dal Decreto 231, è lecito pattuire un termine di pagamento superiore a quello previsto dal Decreto 231?
In linea generale, la disciplina del Decreto 231 è di carattere dispositivo; le parti possono quindi derogare ad essa, stabilendo termini di pagamento diversi (e quindi superiori) a quelli previsti nel Decreto 231.
Vi sono tuttavia tre limiti alla facoltà di deroga delle parti. I primi due limiti sono di tipo formale, in quanto:
- qualora il termine di pagamento previsto nel contratto sia superiore a trenta giorni dalle date previste dal Decreto 231, sopra descritte, ma inferiore a sessanta giorni, l’accordo in deroga deve essere provato per iscritto;
- qualora il termine di pagamento previsto nel contratto sia superiore a sessanta giorni dalle date previste dal Decreto 231, sopra descritte, l’accordo in deroga, oltre che essere munito di forma scritta ad probationem – deve essere “espresso”, cioè non può essere concluso tacitamente, anche se deve non necessariamente rivestire la forma scritta.
Il terzo limite, più importante, è invece di tipo sostanziale: l’accordo in deroga alle previsioni del Decreto 231 non può essere gravemente iniquo in danno al creditore. Qualora tale accordo in deroga dovesse essere gravemente iniquo in danno al creditore, esso è nullo e si applicano automaticamente i termini previsti dal Decreto 231, sopra descritti.
4. Quando i termini di pagamento sono considerati gravemente iniqui in danno del creditore?
Ma cosa si intende per accordo sui tempi di pagamento “gravemente iniquo in danno del creditore”?
L’art. 7 del Decreto 231 pone un limite all’autonomia contrattuale, per evitare che quest’ultima sia finalizzata a far ottenere ad una delle parti – nella specie, il debitore – vantaggi ingiustificati, suscettibili di turbare gli scambi commerciali; in tale ottica, la norma vieta appunto gli accordi gravemente iniqui in danno del creditore.
La nozione di “grave iniquità” si caratterizza, peraltro, per una estrema elasticità ed indeterminatezza, configurandosi come una clausola generale che deve essere di volta in volta valutata.
L’art. 7 comma 2 del Decreto 231 stabilisce che, ai fini della valutazione della “grave iniquità” dell’accordo sui termini di pagamento, si devono considerare “tutte le circostanze del caso, tra cui il grave scostamento dalla prassi commerciale in contrasto con il principio di buona fede e correttezza, la natura della merce o del servizio oggetto del contratto”.
Il legislatore ha così indicato due parametri, indicativi ed esemplificativi, di valutazione della “grave iniquità” dei termini di pagamento, il cui accertamento deve essere effettuato caso per caso, ovvero:
- un importante scostamento rispetto alla prassi commerciale del settore, contrario ai principi generali di buona fede e correttezza;
- le caratteristiche della merce o del servizio oggetto del contratto.
Per quanto concerne i termini di pagamento, dunque, se le parti hanno previsto termini superiori a quelli previsti dal Decreto 231, tali termini potrebbero essere considerati gravemente iniqui – con la conseguenza che si applicherebbero i termini previsti dal Decreto 231, nonostante la diversa pattuizione – se, alla luce di un’analisi da condurre nel caso concreto, vi sia una notevole differenza tra i tempi di pagamento pattuiti e quelli usuali nella prassi commerciale del settore, tale da contrastare con i principi di buona fede e correttezza, e/o i tempi di pagamento pattuiti non siano giustificati dalla natura del prodotto o del servizio oggetto del contratto.
Tali parametri devono essere considerati alla luce del complessivo rapporto tra le parti; in particolare, occorre accertare se i termini di pagamento maggiori rispetto a quelli previsti dal Decreto 231 possano considerarsi in qualche modo bilanciati (e dunque non considerati gravemente iniqui) da una maggiorazione del corrispettivo, o da altri vantaggi per il creditore.
In concreto:
- qualora nel contratto sia previsto un termine di pagamento superiore a 30 giorni – ma inferiore a 60 giorni – dalla data della fattura o dalla data di consegna della merce o la prestazione del servizio, probabilmente tale clausola è lecita, in quanto difficilmente potrà essere considerata gravemente iniqua;
- qualora nel contratto sia previsto un termine di pagamento superiore a 60 giorni dalla data della fattura o dalla data di consegna della merce o la prestazione del servizio, vi è un rischio che tale clausola sia illecita, in quanto gravemente iniqua, con conseguente applicazione automatica del termine di 30 giorni previsti dal Decreto 231. Tale rischio dovrà essere valutato in base ad un’analisi caso per caso – alla luce della prassi commerciale del settore e dell’analisi del complessivo rapporto contrattuale – ed aumenta all’aumentare dei tempi di pagamento che siano stati previsti nel contratto.
Avv. Valerio Pandolfini
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