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termini di pagamento

I ritardi di pagamento nei contratti commerciali tra imprese: gli interessi di mora e dei costi di recupero del credito

30 Maggio 2022/in News, Ritardi Pagamento Commerciali

Gli interessi di mora in caso di ritardato pagamento nell’ambito di un contratto commerciale tra imprese sono disciplinati dal D.lgs. n. 231/2002, nell’ottica di contrastare il fenomeno dei ritardi nei pagamenti. Il Decreto 231 prevede che in caso di ritardato pagamento il creditore ha diritto di ricevere interessi di mora ad un tasso molto elevato, senza necessità di costituzione in mora del debitore, oltre al rimborso dei costi sostenuti per il recupero del credito. La disciplina del Decreto 231  è di natura dispositiva, e quindi può essere derogata dalle parti, con alcuni limiti, tra i quali quello generale della grave iniquità in danno del creditore.

Indice

1. Il Decreto n. 231/2002 sui termini di pagamento nelle transazioni commerciali

Il D.lgs. n. 231/2002 sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali («Decreto 231»), emanato in attuazione della Direttiva 2000/35/Ce, successivamente modificato dal D.lgs. n. 192/2012, ha introdotto nel nostro ordinamento numerose norme che derogano alla tradizionale disciplina del Codice civile, con la finalità di contrastare il fenomeno dei ritardati pagamenti e conseguentemente di eliminare le distorsioni e gli ostacoli della concorrenza, causati dalla imposizione da parte delle grandi imprese e della P.A. di termini di pagamento eccessivamente dilazionati.

In questo senso, la finalità del Decreto 231 è essenzialmente quella di tutelare, nell’attuale congiuntura economico-finanziaria, le imprese, e in particolare quelle di dimensioni medio-piccole (PMI), le quali costituiscono, come è noto, l’ossatura del sistema produttivo nazionale ma, essendo dotate di minore capacità finanziaria e di minore possibilità di accesso, al credito, sono incise in misura molto rilevante dal fenomeno dei ritardati pagamenti, in special modo nei rapporti con la P.A.

Il Decreto 231 ha un ambito applicativo molto vasto: esso si applica infatti a tutti i pagamenti a titolo di corrispettivo in una transazione commerciale, ovvero nell’ambito di contratti – tra imprese (B2B) o tra imprese e P.A. (B2P) – che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi contro il pagamento di un prezzo.

Dunque, il Decreto 231 si applica alle obbligazioni pecuniarie che hanno fonte in qualunque contratto commerciale, come ad esempio la compravendita, l’appalto, la somministrazione, il contratto d’opera, la mediazione, il trasporto, il deposito, la commissione, la spedizione, l’agenzia, etc.

Restano invece esclusi dall’ambito applicativo del Decreto 231 tutti i pagamenti relativi a contratti di credito, come il contratto di mutuo, di apertura di credito, di sconto, di factoring, e i contratti di garanzia, come la fidejussione. Sono altresì esclusi i contratti di utilizzazione di beni dietro corrispettivo in denaro, come la locazione, l’affitto e il leasing.

Sono inoltre espressamente esclusi dall’ambito applicativo del Decreto 231:

  • i debiti oggetto di procedure concorsuali, comprese le procedure finalizzate alla ristrutturazione del debito;
  • i pagamenti effettuati a titolo di risarcimento del danno, compresi i pagamenti effettuati a tale titolo da un assicuratore.

Sotto il profilo soggettivo, il Decreto 231 si applica solo ai contratti:

  • tra imprese (B2B);
  • tra imprese e P.A. (B2P).

Il Decreto 231 non si applica, invece, ai pagamenti dovuti sulla base di contratti dei quali sia parte un consumatore, né a quelli dovuti in base a contratti stipulati tra soggetti pubblici.

Ai sensi dell’art. 11 del Decreto 231, sono salve le vigenti disposizioni del Codice civile e delle leggi speciali che contengono una disciplina più favorevole per il creditore. Di conseguenza, la normativa sulle transazioni commerciali di cui al Decreto 231 non si applica ai seguenti rapporti, che prevedono una disciplina sui termini di pagamento più favorevole al creditore:

  • contratti di subfornitura (art. 3 Legge 192/1998);
  • contratti di trasporto (art. 83-bis Legge 133/2008);
  • contratti di cessione di prodotti agro-alimentari (art. 62 Legge 27/2012).

2. Il tasso di interesse di mora nei contratti commerciali tra imprese (B2B)

L’art. 5 del Decreto 231 prevede che in caso di ritardo nei pagamenti (derivanti da una transazione commerciale) il debitore deve corrispondere interessi di mora ad un tasso diverso – e considerevolmente più alto – rispetto a quello previsto in generale dall’art. 1284 c.c., che decorrono automaticamente, senza necessità di alcuna costituzione in mora, dal giorno successivo alla scadenza del termine per il pagamento.

Si tratta di uno dei principali strumenti attraverso i quali il legislatore nazionale e, prima ancora, il legislatore comunitario, cercano di frenare il fenomeno dei ritardi nel pagamento del corrispettivo e, più in generale, di disincentivare il ritardo nell’adempimento da parte del debitore.

L’art. 5, comma 1 del Decreto 231 stabilisce il debitore in mora nel pagamento del corrispettivo deve corrispondere al creditore interessi legali al tasso pari a quello del principale strumento di finanziamento della Banca centrale europea, applicato alla sue più recenti operazioni di rifinanziamento principale, maggiorato di otto punti percentuali. Il saggio di interesse legale sopra individuato, al netto della maggiorazione dei sette punti percentuali, viene comunicato dal Ministero dell’economia e delle finanze e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale nel quinto giorno lavorativo di ciascun semestre.

Si tratta dunque di un tasso notevolmente elevato. Il tasso d’interesse per le transazioni commerciali ai sensi del Decreto 231 attualmente vigente, valevole per il semestre 1° gennaio – 30 giugno 2022, è pari all’8%, contro l’1,25% degli interessi legali attualmente vigenti ai sensi dell’art. 1284 del Codice civile.

Di seguito una tabella riepilogativa dei tassi di interesse nelle transazioni commerciali ai sensi del Decreto 231, vigente dal 2002 ad oggi:

Periodo Tasso G.U.R.I.
08.08.2002 – 31.12.2002 10,35% n. 33 del 10.02.2003
01.01.2003 – 30.06.2003 9.85% n. 33 del 10.02.2003
01.07.2003 – 31.12.2003 9,10% n. 160 del 12.07.2003
01.01.2004 – 30.06.2004 9,02% n. 11 del 15.01.2004
01.07.2004 – 31.12.2004 9,01% n. 159 dello 09.07.2004
01.01.2005 – 30.06.2005 9,09% n. 5 dello 08.01.2005
01.07.2005 – 31.12.2005 9.05% n. 175 del 29.07.2005
01.01.2006 – 30.06.2006 9,25% n. 10 del 13.01.2006
01.07.2006 – 31.12.2006 9,83% n. 158 del 10.07.2006
01.01.2007 – 30.06.2007 10,58% n. 29 dello 05.02.2007
01.07.2007 – 31.12.2007 11,07% n. 175 del 30.07.2007
01.01.2008 – 30.06.2008 11,20% n. 35 dell’11.02.2008
01.07.2008 – 31.12.2008 11,10% n. 169 del 21.07.2008
01.01.2009 – 30.06.2009 9,50% n. 26 dello 02.02.2009
01.07.2009 – 31.12.2009 8,00% n. 199 del 28.08.2009
01.01.2010 – 30.06.2010 8,00% n. 40 del 18.02.2010
01.07.2010 – 31.12.2010 8,00% n. 190 del 16.08.2010
01.01.2011 – 30.06.2011 8,00% n. 31 dello 08.02.2011
01.07.2011 – 31.12.2011 8,25% n. 165 del 18.07.2011
01.01.2012 – 30.06.2012 8,00% n. 22 del 27.01.2012
01.07.2012 – 31.12.2012 8,00% n. 162 del 13.07.2012
01.01.2013 – 30.06.2013 8,75% n. 14 del 17.01.2013
01.07.2013 – 31.12.2013 8,50% n. 166 del 17.07.2013
01.01.2014 – 30.06.2014 8,25% n. 51 del 03.03.2014
01.07.2014 – 31.12.2014 8,15% n. 167 del 21.07.2014
01.01.2015 – 30.06.2015 8,05% n. 12 del 10.01.2015
01.07.2015 – 31.12.2015 8,05% n. 168 del 22.07.2015
01.01.2016 – 30.06.2016 8,05% n. 19 del 25.01.2016
01.07.2016 – 31.12.2016 8,00% n. 178 dello 01.08.2016
01.01.2017 – 30.06.2017 8,00% n. 18 del 23.01.2017
01.07.2017 – 31.12.2017 8,00% n. 171 del 24.07.2017
01.01.2018 – 30.06.2018 8,00% n. 17 del 22.01.2018
01.07.2018 – 31.12.2018 8,00% n. 158 del 10.07.2018
01.01.2019 – 30.06.2019 8,00% n. 18 del 22.01.2019
01.07.2019 – 31.12.2019 8,00% n. 183 dello 06.08.2019
01.01.2020 – 30.06.2020 8,00% n. 36 del 16.02.2020
01.07.2020 – 31.12.2020 8,00% n. 191 del 31.07.2020
01.01.2021 – 30.06.2021 8,00% n. 29 dello 04.02.2021
01.07.2021 – 31.12.2021 8,00% n. 166 del 13.07.2021
01.01.2022 – 30.06.2022 8,00% n. 20 dello 26.01.2022

Per i contratti aventi ad oggetto la cessione di prodotti alimentari deteriorabili, il tasso d’interesse moratorio è stabilito in misura ancora maggiore: l’art. 4, comma 3, del Decreto 231 prevede infatti, in tal caso, che, parallelamente al maggiore termine per il pagamento del corrispettivo rispetto a quello previsto in via generale (sessanta giorni, anziché trenta, dalla consegna o dal ritiro), il tasso degli interessi moratori è maggiorato di ulteriori due punti percentuali, e inoltre – a differenza, come si vedrà, di quest’ultimo – è inderogabile.

3. La decorrenza degli interessi moratori nei contratti commerciali tra imprese (B2B)

L’art. 4 del Decreto 231 stabilisce che gli interessi di mora decorrono automaticamente, senza la necessità di costituzione in mora, dal giorno successivo alla scadenza del termine per l’adempimento previsto dalle parti.

Qualora le parti non abbiano stabilito, nel contratto, un termine per l’adempimento, gli interessi decorrono automaticamente decorsi trenta giorni da una delle seguenti quattro date (alternative):

  • il ricevimento, da parte del debitore, della fattura o di una richiesta equivalente di pagamento;
  • la consegna della merce o dalla prestazione dei servizi, qualora la data di ricevimento della fattura o quella della richiesta equivalente di pagamento non siano certe;
  • la consegna della merce o dalla prestazione dei servizi, qualora la data di ricevimento della fattura o della richiesta equivalente di pagamento da parte del debitore sia anteriore a quella del ricevimento delle merci o della prestazione dei servizi;
  • l’accettazione o verifica della conformità della merce o dei servizi alle previsioni contrattuali, se previsti dalla legge o dal contratto, sempre che la fattura o la richiesta equivalente di pagamento sia pervenuta al debitore in data anteriore.

Per i prodotti alimentari deteriorabili, gli interessi decorrono dal termine (superiore) di sessanta giorni dalla consegna o dal ritiro di tali prodotti.

Presupposto essenziale per il nascere dell’obbligo, in capo al debitore, di corrispondere gli interessi di mora è, dunque, il ricevimento da parte del debitore stesso di una fattura, o di una richiesta di pagamento equivalente alla prima, proveniente dal creditore. In caso di inerzia di quest’ultimo, il quale non provveda ad inviare al debitore uno dei menzionati documenti, non vi sarà pertanto obbligo per il debitore di corrispondere gli interessi in caso di ritardo nel pagamento, neppure qualora a quest’ultimo sia stata già consegnata la merce o prestati i servizi oggetto del contratto.

Il creditore è tenuto non soltanto ad inviare la fattura o la richiesta equivalente di pagamento al debitore, ma altresì ad inviare tali documenti con una modalità tale che risulti la data di ricevimento degli stessi da parte del destinatario (a prescindere dal fatto che essa sia certa, ai sensi dell’art. 2704 c.c.); infatti, qualora non vi fosse traccia della data di ricevimento da parte del debitore (ad esempio, perché la fattura non è stata inviata tramite lettera raccomandata con avviso di ritorno), non potrà scatterà il termine di decorrenza per il pagamento degli interessi.

Vi è quindi un onere di diligenza a carico del creditore, consistente nell’invio al debitore di una fattura o di una richiesta di pagamento equivalente, con modalità idonee a far risultare il ricevimento degli stessi.

Il comma 7 del Decreto 231 prevede inoltre che, qualora le parti si accordino per un pagamento del corrispettivo rateale, in caso di mancato pagamento di una delle rate alla data concordata, gli interessi moratori sono calcolati esclusivamente sulla base degli importi scaduti. La norma mira ad evitare che sul debitore gravi un obbligo risarcitorio eccessivo, date le rilevanti conseguenze sanzionatorie collegate al ritardo nell’adempimento, costituite dal tasso di interesse moratorio stabilito in misura particolarmente elevata e dal risarcimento dei costi di recupero del credito.

Il mancato pagamento di una rata del corrispettivo non si riflette quindi – al di fuori dell’ipotesi della decadenza dal beneficio del termine, ex art. 1186 c.c. – sulle rate successive non ancora scadute; pertanto, il creditore – il quale chieda l’esecuzione del contratto, ovvero il pagamento della rata scaduta – non ha diritto di ricevere gli interessi di mora su un credito in linea capitale che non è ancora esigibile.

4. La derogabilità del tasso di interesse di mora nei contratti tra imprese

Nelle transazioni commerciali tra imprese, il tasso d’interesse di mora può essere liberamente fissato dalle parti anche in misura diversa da quella stabilità dall’art. 5 del Decreto 231; infatti in linea di massima la disciplina del Decreto 231 è di tipo dispositivo, e dunque può essere derogata dalle parti nel contratto.

Le parti (in un contratto B2B) possono quindi prevedere un tasso d’interesse moratorio superiore o inferiore a quello legale, con un limite generale: la pattuizione sugli interessi di mora non può essere gravemente iniqua in danno del creditore.

L’art. 7 del Decreto 231 pone infatti un limite all’autonomia contrattuale, per evitare che una delle parti – nella specie, il debitore – ottenga vantaggi ingiustificati, suscettibili di turbare gli scambi commerciali.

Se la clausola sul tasso di interessi risulta gravemente iniqua ai danni del creditore, la stessa è nulla; di conseguenza, si applica la disciplina legale del Decreto 231.

La nozione di “grave iniquità” si caratterizza, peraltro, per una notevole elasticità ed indeterminatezza, configurandosi come una clausola generale, che deve essere involta valutata e applicata al caso concreto.

L’art. 7 comma 2 del Decreto 231 stabilisce che ai fini della valutazione della “grave iniquità” dell’accordo sugli interessi di mora si devono considerare “tutte le circostanze del caso, tra cui il grave scostamento dalla prassi commerciale in contrasto con il principio di buona fede e correttezza, la natura della merce o del servizio oggetto del contratto, l’esistenza di motivi oggettivi per derogare al saggio degli interessi legali di mora, ai termini di pagamento o all’importo forfettario dovuto a titolo di risarcimento per i costi di recupero”.

Il legislatore ha così indicato una serie di parametri, indicativi ed esemplificativi, di valutazione della “grave iniquità”, il cui accertamento deve essere effettuato caso per caso.

I commi 3 e 4 dell’art. 7 stabiliscono due presunzioni di “grave iniquità” degli accordi in deroga alla disciplina di cui al Decreto 231, ovvero:

  • l’accordo con il quale le parti escludano l’applicazione di interessi di mora in caso di ritardo nell’adempimento da parte del debitore; tale presunzione è assoluta e non ammette prova contraria;
  • l’accordo con il quale viene escluso il risarcimento dei costi di recupero, di cui all’art. 6 del Decreto 231; tale presunzione è invece relativa, e quindi ammette prova contraria.

Dunque, le previsioni contrattuali con le quali oppure venga escluso l’obbligo in capo al debitore di corrispondere interessi in caso di ritardo – come pure la successiva rinuncia agli interessi da parte del creditore – sono senza dubbio gravemente inique, e quindi nulle, con conseguente applicazione del tasso di cui al Decreto 231.

Può altresì essere ritenuta gravemente iniqua la pattuizione con la quale venga stabilito un tasso di interessi di mora inferiore rispetto a quello stabilito dal Decreto 231. In questo caso, tuttavia, occorre effettuare una valutazione caso per caso, alla luce dei parametri indicati dall’art. 7 del Decreto; in particolare, occorrerà accertare se la previsione di un basso tasso di interesse moratorio possa considerarsi in qualche modo bilanciata da una maggiorazione del corrispettivo, o da altri vantaggi per il creditore.

Utili indici di riferimento a tal proposito possono essere inoltre costituiti, da un lato, dal tasso minimo applicato dalla Banca centrale europea alle operazioni di rifinanziamento principali, di cui all’art. 5 del Decreto 231, e dall’altro dai tassi di mercato, come il “prime rate” rilevato dall’A.B.I., al di sotto dei quali il tasso d’interesse potrebbe risultare troppo squilibrato a vantaggio del debitore, e dunque iniquo.

Si noti, peraltro, che facendo applicazione di tali parametri, ne conseguirebbe che il rinvio pattizio al saggio d’interesse legale stabilito, in generale, dall’art. 1284 c.c., stante la misura dell’attuale saggio d’interesse, sarebbe probabilmente viziato da nullità.

Inoltre, potrebbero essere considerati gravemente iniqui, e dunque nulli, anche gli accordi, i quali stabiliscano la decorrenza degli interessi di mora con riferimento a eventi diversi rispetto a quelli previsti dall’art. 4 del Decreto 231, e in particolare prevedano che tali interessi decorrano solo a seguito della richiesta da parte del creditore (anziché automaticamente, come previsto dal Decreto 231).

Tali accordi non possano essere considerati di per sé nulli, non potendo escludersi che, nella fattispecie concreta, possa comunque sussistere un interesse del creditore ad una deroga al principio dell’automatismo della mora. Ciò potrebbe accadere, ad esempio, qualora tra le parti intercorra un elevato numero di transazioni commerciali, anche di ridotto importo – per cui potrebbe essere in ogni caso conveniente per il creditore evitare gli oneri amministrativi e contabili derivanti dall’automatico decorso degli interessi di mora – oppure nel caso di rapporti contrattuali tra società appartenenti ad un medesimo gruppo, ove i vantaggi derivanti dall’appartenenza al gruppo siano tali da compensare in qualche modo l’onere conseguente ad un tale accordo.

Un ulteriore limite alle parti relativamente alla fissazione del tasso d’interesse di mora è inoltre costituito dal rispetto della soglia dell’usura, di cui all’art. 2 L. n. 108/1996, che si applica, oltre che agli interessi corrispettivi, anche agli interessi moratori.

5. Il risarcimento dei costi di recupero del credito

L’art. 6 del Decreto 231 prevede inoltre che il creditore ha diritto di essere rimborsato dal debitore dei costi sostenuti per il recupero del credito. Pertanto, il creditore, in caso di non tempestivo pagamento da parte del debitore, ha diritto a ricevere da quest’ultimo – senza necessità di un preventivo atto di sollecito o messa in mora – oltre agli interessi moratori al tasso legale di cui all’art. 5 del Decreto 231, anche i costi che ha affrontato per il recupero del credito.

Il comma 2 dell’art. 6 del Decreto 231 stabilisce inoltre un importo forfettario spettante in favore del creditore a titolo di risarcimento dei costi di recupero, pari a Euro 40,00. Tale importo si riferisce ai costi amministrativi interni sopportati dal creditore per il recupero del credito, ovvero, a tutti quei costi, a ciò finalizzati, attinenti all’utilizzo della propria entità organizzativa (tipicamente, l’ufficio legale interno), e che non riguardano l’eventuale incarico a soggetti esterni. Il rimborso di tali costi è dovuto al creditore, senza necessità di dimostrazione.

Il creditore ha altresì diritto di essere risarcito dell’eventuale maggior danno, ovvero dei costi di assistenza per il recupero del credito – cioè nei costi “esterni”, derivanti dall’incarico che il creditore abbia attribuito a studi legali o delle società di recupero crediti – subordinatamente alla dimostrazione del loro effettivo avvenuto esborso da parte del creditore, e della rivalutazione monetaria.

 

Avv. Valerio Pandolfini

Avvocato Recupero Crediti

 

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Le informazioni contenute nel presente articolo hanno carattere generale e non sono da considerarsi un esame esaustivo né intendono esprimere un parere o fornire una consulenza di natura legale. Le considerazioni e opinioni di seguito riportate  non prescindono dalla necessità di ottenere pareri specifici con riguardo alle singole fattispecie descritte. Di conseguenza, il presente articolo non costituisce un(né può essere altrimenti interpretato quale) parere legale, né può in  alcun modo considerarsi come sostitutivo  di una consulenza legale specifica.

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