La cessione dei crediti: come effettuarla, cessione pro soluto e pro solvendo
La cessione del credito (disciplinata dagli artt. 1260 e ss. del Codice civile) è il contratto con il quale il creditore (cedente) trasferisce ad un altro soggetto (cessionario) la titolarità del credito vantato nei confronti del debitore (ceduto), dietro versamento di un corrispettivo dal cessionario al cedente. La cessione del credito non rappresenta un autonomo tipo contrattuale, quanto piuttosto un negozio giuridico a causa variabile; essa può essere utilizzata per diversi scopi, sia a titolo oneroso che gratuito, a seconda dell’assetto economico perseguito dalle parti. Si tratta di un’operazione che presenta diversi vantaggi per le parti. Analizziamo i profili principali della disciplina della cessione del credito prevista nel Codice civile, soffermandoci sinteticamente anche sulla cessione dei crediti in blocco, sulla cartolarizzazione dei crediti e sulla cessione dei crediti nei confronti della P.A.
1. Cos’è la cessione del credito e i vantaggi che essa offre alle imprese
Una valida alternativa al recupero dei crediti per le imprese, soprattutto quando questa si presenta problematica, è costituita dalla cessione.
La cessione del credito è un contratto con il quale un creditore (cedente) trasferisce ad un altro soggetto (cessionario) la titolarità di uno o più crediti vantato nei confronti del debitore (ceduto), dietro versamento di un corrispettivo dal cessionario al cedente.
La cessione del credito ha un effetto più limitato della cessione del contratto. In quest’ultimo caso, infatti, viene trasferita l’intera posizione contrattuale, con tutti i diritti e gli obblighi ad essa inerenti. Viceversa, nella cessione del credito viene trasferito dal cedente al cessionario il solo diritto di credito.
La cessione del credito può comportare molti vantaggi per il cedente, il quale può:
- ottenere facilmente e in tempi brevi una liquidità (costituita dal corrispettivo per la cessione), senza dover affrontare le incertezze e i costi del recupero del credito, oltre che gli oneri relativi alla gestione del credito in sofferenza;
- conseguire i benefici fiscali connessi alla deducibilità della perdita (art. 101 TUIR);
- redigere un bilancio meno «appesantito» dai crediti in sofferenza.
A fronte di tali vantaggi, l’impresa cedente subisce una perdita derivante dalla mancata riscossione dell’intero credito, dato che il corrispettivo per la cessione non è equivalente all’importo nominale del credito ceduto. Tale perdita è più o meno rilevante a seconda degli accordi tra le parti, che a loro volta dipendono dalla natura pro solvendo o pro soluto della cessione e dalle probabilità di recupero del credito da parte del cessionario.
2. Perfezionamento ed efficacia della sessione del credito
Il contratto di cessione del credito si perfeziona con il semplice consenso di cedente e cessionario. A differenza di quanto accade in caso di cessione del contratto, non è richiesto anche il consenso del debitore ceduto; dal punto di vista giuridico, infatti, per il debitore è indifferente la persona del creditore.
Tuttavia, il debitore deve essere informato della cessione, altrimenti, egli ha ragione di ritenere di essere sempre obbligato verso il creditore originario e potrebbe pagare in buona fede a quest’ultimo. Pertanto, affinché la cessione abbia efficacia nei confronti del debitore ceduto, occorre che gli venga notificata, dal cedente o dal cessionario, o che la cessione sia da lui accettata (art. 1264 c.c.); tali formalità non costituiscono, quindi, elemento costitutivo della cessione, ma sono condizione di efficacia della cessione stessa nei confronti del debitore.
L’accettazione o la notificazione della cessione servono inoltre ad attribuirle efficacia nei confronti dei terzi, rispetto ai quali, peraltro, le stesse devono risultare da atto avente data certa. Se il cedente ha ceduto lo stesso credito più volte, prevale a cessione notificata per prima al debitore, o quella che è stata prima accettata dal debitore con atto di data certa, anche se di data posteriore (art. 1265 c.c.).
Il trasferimento del credito comporta il mutamento del soggetto attivo del rapporto, ma non del titolo e del contenuto della posizione debitoria; pertanto, il debitore ceduto resta obbligato nei confronti del cessionario così come lo era nei confronti del cedente.
Pertanto, il debitore ceduto può far valere nei confronti del cessionario tutte le eccezioni che avrebbe potuto far valere nei confronti del cedente; sia quelle relative alla validità del titolo costitutivo del credito, sia quelle relative ai fatti estintivi o modificativi del rapporto anteriori al trasferimento del credito o anche successivi, fino al momento in cui ha accettato la cessione o questa gli è stata notificata o ne abbia avuto conoscenza certa.
3. Quali crediti possono essere ceduti?
In linea generale possono costituire oggetto di cessione tutti i crediti, sia a titolo oneroso che a titolo gratuito. Possono essere quindi oggetto di cessione anche i crediti derivanti da illecito e, in generale, i diritti risarcitori in tutte le loro poste e declinazioni, compreso il danno non patrimoniale.
Possono essere altresì ceduti anche i crediti futuri, purché il credito sia determinabile, ovvero riferito ad un rapporto giuridico di base già sussistente al momento della conclusione del negozio di cessione, Il cedente ha l’obbligo di far acquistare al cessionario la titolarità del credito.
Nel caso di cessione di un credito futuro, il trasferimento del credito al cessionario si verifica soltanto nel momento in cui il credito viene ad esistenza, mentre, prima di tale data, la cessione, pur perfetta, è destinata ad esplicare tra le parti efficacia meramente obbligatoria.
La cessione dei crediti futuri avviene spesso nell’ambito di una operazione di factoring, l’art. 3 della L. n. 52/1991 pone quali uniche condizioni per la cedibilità dei crediti futuri la qualifica soggettiva del soggetto cessionario (factor) e la venuta ad esistenza del credito entro i successivi 24 mesi dalla stipula del contratto.
Per effetto della cessione, il credito è trasferito al cessionario con i privilegi, con le garanzie personali e reali e con gli altri accessori (art. 1263 c.c.).
Vengono quindi trasferite al cessionario anche tutte le azioni processuali per la tutela del credito, comprese quelle volte a rafforzare la conservazione e la realizzazione del credito, quali il sequestro e le azioni esecutive, ad esclusione di quelle concernenti la fonte del rapporto originario fra cedente e ceduto – quali l’azione di nullità, di annullamento, di risoluzione e rescissione – in quanto il cessionario, in virtù del contratto con il decente, acquista la titolarità del credito ma non quella del contratto dal quale il credito trae la propria origine.
La cessione del credito comporta il trasferimento automatico delle cauzioni e della clausola penale. Non sono invece oggetto di trasferimento né la caparra confirmatoria, né la caparra penitenziaria, in quanto la prima costituisce una garanzia dell’impegno negoziale nel suo complesso piuttosto che della singola obbligazione, mentre la seconda rappresenta il corrispettivo del recesso e non può essere annoverata tra gli accessori di uno dei crediti collegati al contratto.
4. Quali crediti non possono essere ceduti?
L’art. 1260 c.c. individua tre casi di incedibilità dei crediti:
- crediti aventi carattere strettamente personale;
- crediti per i quali la cessione è vietata dalla legge;
- crediti per i quali la cessione è esclusa su accordo delle parti.
Per quanto riguarda la prima ipotesi, i crediti sono strettamente personali qualora, per la loro stessa natura, risultano inidonei ad essere trasferiti, in quanto relativi a prestazioni rispetto alle quali assume rilievo la persona del creditore. Si tratta del:
- credito agli alimenti (la cui incedibilità è sancita anche dall’art. 447 c.c.);
- credito per indennità di licenziamento;
- credito verso il fideiussore, che può essere ceduto soltanto con il diritto principale cui è collegato.
Vi sono, poi, crediti la cui cessione è vietata dalla legge. In tale categoria rientrano:
- divieti di carattere oggettivo, connessi alla causa del credito, come ad es. i crediti per stipendi, pensioni o salari dei dipendenti di pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1 D.p.r. n. 80/1950;
- divieti di carattere soggettivo, legati a classi di soggetti determinati, come i crediti litigiosi che non possono essere trasferiti agli operatori della giustizia, qualora sia in corso una lite davanti all’autorità giudiziaria di cui fanno parte o nella cui giurisdizione esercitano le loro funzioni (art. 1261, primo comma, c.c.).
Una ipotesi particolare di divieto di cessione riguarda i crediti verso lo Stato o altre Pubbliche Amministrazioni.
La cedibilità del credito può infine essere convenzionalmente esclusa dalle parti (art. 1260, secondo comma, c.c.). È dunque possibile un accordo con cui le parti escludono la cedibilità del credito. Il patto di incedibilità del credito è opponibile ai terzi che siano venuti a conoscenza della sua esistenza al momento della cessione, e la prova di tale conoscenza deve essere fornita da chi intende contestare il trasferimento del credito (debitore o creditore).
5. Cessione del credito pro-soluto
La cessione del credito è normalmente (in assenza di diversa previsione nel contratto di cessione) pro-soluto: ciò significa che il cedente garantisce al cessionario solo l’esistenza del credito, e non la solvibilità del debitore. Il cessionario acquista dunque i crediti dal cedente senza potersi rivalere nei confronti di quest’ultimo in caso di insolvenza del debitore. Il rischio di non poter conseguire la prestazione grava in questo caso sul cessionario, quale nuovo titolare del credito.
Quando la cessione è pro-soluto, generalmente il cessionario corrisponde al cedente, a titolo di corrispettivo, un importo notevolmente inferiore rispetto al credito ceduto, dato che il cedente ottiene il vantaggio immediato del pagamento, seppur parziale, del credito vantato. Il prezzo della cessione del credito viene stabilita in base alle possibilità di recupero del credito non ancora riscosso: minore è la possibilità che il debitore paghi, minore è il prezzo che il creditore cessionario paga per acquisire il credito di altri.
6. Cessione del credito pro-solvendo
Se previsto dalle parti contraenti, la cessione del credito può essere pro-solvendo: in tal caso, il cedente garantisce al cessionario non soltanto l’esistenza del credito ceduto, ma anche la solvibilità del debitore ceduto. Il cessionario che acquista i crediti dal cedente ha quindi un diritto di rivalsa nei confronti di quest’ultimo in caso di insolvenza del debitore.
Il creditore che garantisce la solvenza del debitore ceduto risponde nei limiti di quanto ha ricevuto, oltre a dover corrispondere gli interessi, a rimborsare le spese della cessione e quelle che il cessionario abbia sopportato per escutere il ceduto, ed infine dovrà risarcire il danno. Il cessionario, dunque, avrà diritto a recuperare soltanto il corrispettivo della cessione, ma non l’importo del credito acquistato (art. 1267 c.c.).
Cessione pro soluto e pro solvendo non sempre sono chiaramente differenziabili in concreto. Un caso piuttosto frequente è il c.d. patto di riacquisto, con il quale il cedente, ad una determinata scadenza oppure in caso di insolvenza del debitore ceduto, si impegna a riacquistare i crediti ceduti. In tal caso, si può ritenere che, qualora permanga un legame tra il cedente e il credito ceduto, a prescindere dalle motivazioni o dagli eventi che rendono attivabile la forma di garanzia prevista, la cessione è qualificabile come pro solvendo.
Il patto di riacquisto può invece coesistere con la qualificazione della cessione come pro soluto qualora la legittimazione del cessionario ad attivare la richiesta di riacquisto o di rimborso sia legata al verificarsi di atti espressione di una “deviazione” dall’originario programma contrattuale, non consistenti nel puro e semplice inadempimento dei debitori ceduti.
Avv. Valerio Pandolfini
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