Il recupero del credito nei confronti della P.A.: pignoramento e giudizio di ottemperanza
Il recupero del credito nei confronti della P.A. è spesso problematico per le imprese. A differenza di quanto si crede, tuttavia, non si tratta di crediti impossibili da recuperare. In linea generale, i creditori muniti di un titolo esecutivo (cioè di un provvedimento giudiziale che consente di agire esecutivamente, come ad esempio un decreto ingiuntivo esecutivo), possono ottenere il soddisfacimento del credito vantato nei confronti della P.A. con due modalità: attraverso l’esecuzione forzata nelle forme ordinarie disciplinate dal C.p.c. (cioè con il pignoramento) o attraverso il giudizio di ottemperanza (cioè con l’azione sostitutiva del commissario ad acta). L’ordinamento prevede, qualora la parte debitrice sia una P.A., una disciplina che si discosta per diversi aspetti da quella generale, e che colloca il debitore pubblico in una situazione di favore rispetto a quello privato.
1. L’esecuzione forzata nei confronti della P.A.
In linea generale, i creditori muniti di titolo esecutivo (cioè, di un provvedimento giudiziale che consente di agire esecutivamente, come ad esempio un decreto ingiuntivo esecutivo, possono ottenere il soddisfacimento del credito vantato nei confronti della pubblica amministrazione (P.A.) con due modalità:
- attraverso l’esecuzione forzata nelle forme ordinarie disciplinate dal C.p.c., cioè con il pignoramento;
- attraverso il giudizio di ottemperanza, ovvero con l’azione sostitutiva del commissario ad acta (v. par. 7).
La P.A. può essere condannata al pagamento di somme di denaro ed essere soggetta all’azione esecutiva del creditore al pari di un comune debitore. Tuttavia, l’ordinamento prevede, qualora la parte debitrice sia una P.A., una disciplina che si discosta per diversi aspetti da quella generale, e che colloca il debitore pubblico in una situazione di favore rispetto a quello privato.
2. Il termine dilatorio per l’inizio dell’esecuzione
Una prima diversità rispetto al diritto comune riguarda il termine dilatorio per il pagamento del debito. Secondo la disciplina comune, il creditore, decorso il termine di 10 giorni dalla notifica dell’atto di precetto, può iniziare l’azione esecutiva (pignoramento) nei confronti del debitore, ai sensi dell’art. 480 C.p.c. Tale norma non si applica quando il debitore è una P.A.
L’art. 14, comma 1, D.L. n. 669/1996, convertito in L. n. 30/1997, preclude infatti al creditore la possibilità di agire giudizialmente nei confronti delle amministrazioni statali e/o degli enti pubblici non economici per il recupero forzoso del proprio credito derivante da un provvedimento giurisdizionale prima che sia decorso il termine di centoventi giorni dalla notifica del titolo esecutivo.
E’ quindi accordato alla P.A., attraverso il differimento dell’esecuzione, un periodo di tempo (c.d. termine di grazia) affinché vengano apprestati i mezzi finanziari occorrenti al pagamento dei propri debiti, per scongiurare la paralisi dell’attività amministrativa. In altri termini, come affermato dalla Corte Cost., il termine di grazia per l’esecuzione dei pagamenti si giustifica per la necessità di scongiurare il blocco dell’attività amministrativa che deriverebbe da plurimi pignoramenti, di garantire il buon andamento dell’amministrazione, senza tuttavia escludere la responsabilità civile della P.A. per il ritardo nei pagamenti.
Durante la pendenza del termine dei centoventi giorni, la condanna della P.A. al pagamento è sospesa ed il creditore non può agire esecutivamente, né notificare atto di precetto, neppure dopo aver ricevuto la comunicazione dell’emissione del mandato di pagamento a suo favore da parte dell’ente pubblico. Si tratta in altri termini di una condizione per l’esercizio dell’azione esecutiva.
La violazione del termine dilatorio da rispettare da parte del creditore prima della notificazione del precetto e dell’avvio dell’azione esecutiva contro la P.A. è motivo di opposizione al precetto e all’esecuzione, ai sensi dell’art. 615 c.p.c.
La norma in questione si applica, oltre che alle Amministrazioni dello Stato (sia centrali che periferiche, agli enti pubblici non economici – ovvero agli enti che svolgono concretamente un’attività di impresa improntata a criteri di economicità (cioè diretta a realizzare un equilibrio tra costi e ricavi), anche se non necessariamente a fini di lucro – con l’eccezione dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione, a cui si applica l’art.14 comma 3, D. L. 16 ottobre 2017, convertito nella L. n. 172/2017 (eccezione che non si applica alle società private affidatarie del servizio di riscossione dei tributi). La norma si applica quindi anche alle Aziende sanitarie locali, in quanto enti pubblici non economici. Sono invece escluse dal beneficio – e restano quindi soggette all’ordinaria disciplina dell’esecuzione forzata – le società a partecipazione pubblica, e In particolare le c.d. società in house della P.A., ovvero le società di diritto privato costituite e controllate da un soggetto pubblico.
Il divieto di esercitare l’azione esecutiva nei confronti della P.A. prima del decorso del termine dilatorio si applica esclusivamente alla P.A. debitrice esecutata e non alla P.A. che rivesta la posizione di terza pignorata nell’espropriazione mobiliare presso terzi.
Secondo la giurisprudenza prevalente, l’art. 14, comma 1 si applica anche all’intervento nel processo esecutivo; in tal caso, il termine dilatorio dei centoventi giorni si calcola, a pena di inammissibilità dell’intervento, dalla data della notificazione del titolo esecutivo alla data del deposito dell’intervento.
Il termine dilatorio si applica anche all’azione di ottemperanza (v. par. 7), in quanto la norma è funzionale a favorire l’ordinata gestione delle finanze pubbliche, a prescindere dallo strumento esecutivo in concreto azionato dal creditore. In proposito, la giurisprudenza prevalente ritiene necessaria la preventiva notifica del titolo esecutivo, anche qualora si intenda successivamente proporre ricorso per ottemperanza, non essendo sufficiente per far decorrere il termine dilatorio la mera comunicazione via pec del titolo esecutivo da parte del difensore.
3. Lo speciale ordine di pagamento (c.d. SOP).
Secondo il secondo comma dell’art. 14, ricevuta la notificazione del titolo esecutivo, il responsabile della spesa delle sole amministrazioni dello Stato, mancando i fondi per provvedere, dispone che il pagamento del debito avvenga con l’emissione di uno speciale ordine di pagamento (c.d. SOP) rivolto all’istituto tesoriere, da regolare in conto sospeso.
Condizioni per l’emissione del SOP sono la condanna della P.A. al pagamento di una somma contenuta in un provvedimento giurisdizionale o lodo arbitrale avente efficacia esecutiva e la mancanza delle somme necessarie sul capitolo di bilancio dell’amministrazione.
Il SOP è stato disciplinato dal DM 1° ottobre 2012, dalla Circolare n. 20 del 6 maggio 2014 della Ragioneria generale dello Stato e dalla Circolare 27 agosto 2014 del Ministero dell’economia e delle finanze.
In esecuzione dell’art. 2, co. 4-ter, DL n. 138/2011, convertito in L. n. 148/2011, che ha stabilito che le operazioni di pagamento delle pubbliche amministrazioni centrali e locali e dei loro enti sono disposte mediante l’utilizzo di strumenti telematici, con l’obbligo per le pubbliche amministrazioni di avviare il processo di superamento di sistemi basati sull’uso di supporti cartacei, il Ministero dell’economia e finanze con decreto 24 giugno 2015 ha introdotto il c.d. SOP informatico, definendone le caratteristiche e le modalità di emissione, a cui ha fatto seguito la Circolare 4 agosto 2015 n. 24 della Ragioneria generale dello Stato.
La finalità della previsione è di assicurare, nel termine dei centoventi giorni l’esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali e dei lodi arbitrali aventi efficacia esecutiva con l’emissione del SOP, quando difetta la disponibilità finanziaria sul pertinente capitolo di spesa del bilancio.
Il SOP si applica alle sole amministrazioni centrali e periferiche dello Stato, nonché ai funzionari delegati dell’Agenzia delle entrate, dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli e dell’Agenzia del demanio; le disposizioni sul SOP informatico sono estese, in quanto compatibili, alle amministrazioni dello Stato dotate di autonomia amministrativa e contabile per le quali vigono appositi regolamenti in materia di amministrazione e contabilità (art. 9, co. 4, d. mef. 24 giugno 2015).
L’adozione della procedura in conto sospeso è raccomandata dalla Ragioneria dello Stato per la tutela degli interessi del creditore, considerato che il termine dei centoventi giorni, previsto dal primo comma dell’art. 14, è posto a favore della P.A. debitrice ai sensi dell’art. 1184 c.c.
Il funzionario responsabile del procedimento di spesa, effettuata la necessaria attività istruttoria, dà corso al pagamento col SOP senza bisogno di autorizzazione. Il mancato ricorso a tale procedura, in presenza dei presupposti di legge, configura un’omissione di atti dovuti e determina un danno all’Erario riferibile al dirigente responsabile per i maggiori oneri dovuti per interessi e spese legali, da segnalare alla competente Procura regionale della Corte dei Conti.
Lo speciale ordine di pagamento si scrittura contabilmente al conto sospeso «collettivi»: si tratta dell’unico sospeso del sistema contabile di tesoreria che si articola nei sottoconti “collettivi di cassa” e “collettivi riscontri”, nel secondo dei quali si colloca il SOP sotto la voce «pagamenti urgenti» (MULONE, La Banca d’Italia e la tesoreria dello Stato, in Banca d’Italia-Tematiche istituzionali, ottobre 2006, 105).
I commissari ad acta previsti per il processo amministrativo dall’art. 21, D. lgs. n. 104/2010 e per il processo tributario dall’art. 70, D. lgs. n. 546/1992, ricorrendone le condizioni, sono legittimati ad ordinare l’emissione del SOP, quando l’amministrazione inadempiente sia quella statale.
La procedura diretta all’emissione del SOP deve necessariamente concludersi entro sei mesi con l’emissione del provvedimento di spesa, e si articola in due fasi:
la prima fase riguarda l’attivazione del SOP e si articola in tre passaggi: 1) emissione del SOP; 2) trasmissione del SOP alle Ragionerie territoriali o agli Uffici Centrali di Bilancio per il controllo preventivo di regolarità amministrativa e contabile, tramite apposizione del c.d. “visto”; 3) invio del SOP, tramite il sistema delle ragionerie, alla tesoreria competente per il pagamento.
la seconda fase attiene all’esecuzione del POS e si concretizza in tre momenti: 1) la richiesta di fondi da collocare sul capitolo di spesa incapiente rivolta alla Ragioneria generale dello Stato; 2) il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze di variazione del bilancio dello Stato per l’integrazione dei fondi (mancanti) sul pertinente capitolo di bilancio; 3) l’emissione del titolo di spesa per la regolarizzazione del SOP da parte dell’amministrazione che l’ha emesso, con il pagamento del titolo.
4. Il pignoramento dei crediti vantati dalla P.A.
La specialità del regime giuridico dell’esecuzione contro la P.A, rileva anche con riferimento all’individuazione dell’oggetto (possibile) dell’azione esecutiva.
L’azione esecutiva avente ad oggetto beni immobili o mobili della P.A. ha rilievo marginale, dato che potrebbero essere espropriati solo cespiti facenti parte del patrimonio disponibile della stessa, cioè beni per i quali non vi sia l’attuale ed effettiva destinazione ad un pubblico servizio e che, come tali, sono assoggettati, pur con qualche peculiarità, ad un regime privatistico. Ciò comporta l’inespropriabilità dei beni demaniali e dei beni del patrimonio indisponibile.
Tra i beni facenti parte del patrimonio disponibile (come tali espropriabili) un posto di rilievo, anche in considerazione della sua maggiore capacità satisfattiva per il creditore, è ricoperto dal denaro, sia quello esistente in cassa che quello di cui l’amministrazione sia creditrice, espropriabili nelle forme del pignoramento presso terzi. In definitiva, l’espropriazione forzata nei confronti della P.A. avviene pressoché esclusivamente nella forma del pignoramento dei crediti che la stessa P.A. vanta nei confronti di altri soggetti (generalmente esercenti servizi di tesoreria).
Ai sensi dell’art. 14, comma 1-bis, D.L. n. 669/1996, il pignoramento dei crediti e l’ordinanza di assegnazione perdono efficacia decorso un anno, rispettivamente dal compimento o dall’emissione, in difetto di assegnazione o di esazione delle somme assegnate.
Per quanto concerne l’assegnazione, la finalità della norma è quella di spingere il creditore a non attardarsi, a non perdere tempo, evitando che fondi pubblici restino vincolati ed inutilizzati sine die nelle tesorerie delle amministrazioni. Passato l’anno senza che sia stata emessa l’ordinanza di assegnazione, la perdita di efficacia del primo atto dell’esecuzione determina la cessazione degli obblighi di custodia in capo al terzo che non sarà tenuto a tenere vincolate dette somme oltre tale termine.
Uguale interesse (a non restare vincolato dal pignoramento oltre il termine di legge) vanta il terzo pignorato nel caso di mancata esazione dell’ordinanza di assegnazione entro l’anno dall’emissione del provvedimento. La norma tutela l’interesse del terzo pignorato a non restare vincolato dal pignoramento oltre quel termine. Il termine esazione delle somme assegnate indica l’avvio della procedura di riscossione, che corrisponde alla notificazione dell’ordinanza, che dovrà pertanto essere effettuata (anche se non completata) entro un anno dalla sua emissione.
In linea generale, i crediti della P.A. sono pignorabili; la legge prevede tuttavia diversi limiti alla pignorabilità dei crediti vantati dalla P.A.
In primo luogo, vi sono alcuni casi in cui la legge dispone il divieto di pignorare determinate somme di pertinenza dell’Ente pubblico, come ad es. nei seguenti casi:
- impignorabilità di somme destinate a fronteggiare situazioni di emergenza (art. 5, L. n. 225/1992);
- impignorabilità di fondi destinati al pagamento di spese per servizi e forniture in materia giudiziaria o penitenziaria (art. 1, comma 294-bis n. 266/2005);
- impignorabilità di fondi e le contabilità speciali del Ministero dell’economia e delle finanze destinate al pagamento di somme liquidate a norma della legge 24 marzo 2001, n. 89 (art. 1, comma 294-bis n. 266/2005);
- impignorabilità di fondi depositati su conti correnti bancari dal Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, dall’Agenzia informazioni e sicurezza esterna nonché dall’Agenzia informazioni e sicurezza interna (art. 62, DPCM 26.11.2016);
- impignorabilità dei fondi destinati in favore degli interventi cofinanziati dall’UE ovvero finanziati con il Fondo per lo sviluppo e la coesione (art. 1, comma 800, L. n. 208/2015);
- impignorabilità di fondi destinati all’adeguamento dei centri di identificazione ed espulsione (art. 1, comma 2, DL n. 120/2013, convertito in L. n. 137/2013).
L’impignorabilità dei crediti vantati dalla P.A. può inoltre derivare da provvedimento amministrativo, riguardante importi destinati a un servizio pubblico o all’attuazione di una funzione istituzionale. La legge attribuisce infatti alla P.A. il potere discrezionale di determinare, con un proprio provvedimento, le somme che, in quanto destinate ad uno specifico servizio di rilievo pubblicistico, sono impignorabili per un tempo determinato.
Il creditore può peraltro chiedere che venga dichiarata l’inefficacia relativa del provvedimento in questione, qualora la P.A. abbia effettuato pagamenti in violazione dell’ordine cronologico dei pagamenti, cioè quando, al di fuori delle finalità protette dalla delibera di impignorabilità, siano stati compiuti pagamenti senza tener conto dell’ordine cronologico delle fatture così come pervenute per il pagamento o, se non è prescritta fattura, dalla data della deliberazione di impegno da parte dell’Ente.
La legge inoltre affida alla P.A. il potere di determinare, volta per volta, vincoli di destinazione relativi alle somme di cui la stessa dispone presso il proprio tesoriere, per la necessità di soddisfare finalità ritenute prioritarie. L’attività diretta alla concreta individuazione delle somme vincolate avviene, tenuto conto della fungibilità del denaro (che l’Ente detiene presso il proprio tesoriere), attraverso la fissazione di un limite quantitativo: si determina, cioè, un limite fino a concorrenza del quale il patrimonio dell’Ente è considerato impignorabile.
Tali provvedimenti hanno efficacia temporale circoscritta, ma vengono spesso reiterati prima che il provvedimento relativo al periodo precedente esaurisca la sua efficacia.
Per quanto concerne gli enti locali, l’art. 159 TUEL prevede al primo comma che l’esecuzione deve effettuarsi esclusivamente nella forma del pignoramento dei crediti vantati dall’amministrazione debitrice nei riguardi del proprio tesoriere.
Non è quindi ammessa la procedura d’esecuzione forzata presso soggetti diversi dai tesorieri degli enti debitori; ; ne consegue che il pignoramento effettuato nei riguardi di un terzo diverso dal tesoriere è nullo.
Il comma 2 dell’art. 159 TUEL prevede inoltre che non sono soggette ad esecuzione forzata, a pena di nullità rilevabile anche d’ufficio dal giudice, le somme di competenza degli enti locali destinate a:
- pagamento delle retribuzioni al personale dipendente e dei conseguenti oneri previdenziali per i tre mesi successivi;
- pagamento delle rate di mutui e di prestiti obbligazionari scadenti nel semestre in corso;
- espletamento dei servizi locali indispensabili.
Con riferimento, dunque, alle somme da aggredire, non tutte le somme depositate presso la tesoreria possono essere oggetto di esecuzione. La finalità della norma è quella di non pregiudicare lo svolgimento dell’attività istituzionali dell’ente, salvaguardando dai creditori determinate somme aventi specifica destinazione.
Il comma 4 dell’art. 159 TUEL prevede che le procedure esecutive eventualmente intraprese in violazione del comma 2 non determinano vincoli sulle somme né limitazioni all’attività del tesoriere.
Ai sensi del comma 3 dell’art. 159 TUEL occorre che l’organo esecutivo dell’ente, con delibera da adottarsi per ogni semestre e notificata al tesoriere, quantifichi preventivamente gli importi delle somme destinate alle specifiche finalità.
L’impignorabilità non opera qualora, dopo l’adozione da parte dell’organo esecutivo della delibera semestrale di quantificazione preventiva degli importi delle somme stese, siano emessi mandati di pagamento diversi da quelli vincolati, senza seguire l’ordine cronologico delle fatture così come pervenute per il pagamento o, se non è prescritta fattura, delle deliberazioni d’impegno da parte dell’Ente.
Tuttavia, l’Ente conserva il beneficio dell’impignorabilità delle somme giacenti presso il proprio tesoriere, ai sensi dell’art. 159 del TUEL, se sussistono tre condizioni, ovvero:
- che sia stata emessa la delibera semestrale di vincolo, che quantifichi gli importi non soggetti ad esecuzione forzata e che il credito vantato dal terzo sia estraneo alle finalità per le quali il vincolo è posto; al riguardo, è necessario, inoltre, che la delibera sia approvata all’inizio del semestre di riferimento al fine d’impedire che un eventuale pignoramento sia notificato prima che la deliberazione produca i suoi effetti;
- che sia avvenuta regolare notifica del provvedimento al tesoriere, in qualità di soggetto destinatario delle eventuali azioni esecutive e che, di conseguenza, l’atto sia opponibile ai terzi;
- che l’ente abbia seguito l’ordine cronologico delle fatture così come pervenute per i pagamenti e che non abbia eseguito pagamento “estranei” alle finalità per le quali il vincolo è posto.
Secondo l’opinione prevalente, l’adozione della delibera è sufficiente ai fini del perfezionamento del vincolo, l’emissione di mandati di pagamento a titolo diverso è fatto estintivo del vincolo, mentre il rispetto dell’ordine cronologico dei pagamenti per titoli diversi rappresenta un fatto impeditivo del dispiegarsi dell’effetto estintivo connesso all’emissione di mandati di pagamento.
E’ opponibile al creditore solo una delibera adottata e munita di efficacia in data anteriore alla notifica del pignoramento al debitore; qualora non risulti adottata alcuna delibera per il semestre di riferimento oppure qualora la stessa sia stata adottata dopo la notifica (al debitore) del pignoramento (e dopo la cessazione dell’efficacia della delibera relativa al semestre precedente), si può provvedere all’assegnazione del credito (disponibile) pignorato, indipendentemente dal rispetto dell’ordine cronologico dei mandati di pagamento per finalità diverse da quelle protette dalla delibera.
Secondo la giurisprudenza prevalente, il creditore procedente che intende far valere l’inefficacia del vincolo di impignorabilità ha l’onere di allegare lo specifico pagamento per debiti estranei eseguiti successivamente alla delibera, mentre spetta all’Ente locale provare che tali pagamenti sono stati eseguiti in base a mandati emessi nel rispetto del dovuto ordine cronologico.
Ai fini della deduzione della inefficacia del vincolo, il creditore deve allegare l’adozione di determine di pagamento per finalità diverse in data posteriore all’adozione della delibera, alla condizione che tale allegazione sia sufficientemente precisa.
Dato che, in presenza di una delibera di impignorabilità, il tesoriere può provvedere alla gestione dei flussi di cassa come se il pignoramento non vi fosse mai stato, ma solo relativamente alle somme vincolate attraverso la delibera, le somme eccedenti, eventualmente detenute o affluite sul conto, il vincolo pignoratizio è operativo, con conseguente sorgere degli obblighi di custodia ai sensi dell’art. 546 c.p.c.
5. L’esecuzione forzata nei confronti delle ASL.
L’art. 1, comma 5, DL n. 9/1993 disponeva che le somme dovute a qualsiasi titolo alle ASL non sono sottoposte ad esecuzione forzata nei limiti degli importi corrispondenti agli stipendi e alle competenze comunque spettanti al personale dipendente o convenzionato, nonché nella misura dei fondi a destinazione vincolata essenziali ai fini dell’erogazione dei servizi sanitari definiti con decreto del Ministro della sanità.
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 285/1995, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di tale norma, nella parte in cui, per l’effetto della non sottoponibilità ad esecuzione forzata delle somme destinate ai fini ivi indicati, non prevedeva la condizione che l’organo amministrativo delle ASL, con delibera da adottare per ogni trimestre, quantifichi preventivamente gli importi delle somme innanzi destinate e che dall’adozione della predetta delibera non siano emessi mandati a titoli diversi da quelli vincolati, se non seguendo l’ordine cronologico delle fatture così come pervenute per il pagamento o, se non è prescritta fattura, dalla data della deliberazione di impegno da parte dell’ente.
L’art. 35, comma 8, lett. b), DL n. 66/2014, convertito in L. n. 89/2014, ha inserito il comma 5-bis, secondo cui – analogamente a quanto previsto dal comma 4 dell’art. 159 TUEL – la delibera deve essere comunicata all’istituto cui è affidato il servizio di tesoreria o cassa contestualmente alla sua adozione, e dalla data di tale comunicazione il tesoriere è obbligato a rendere immediatamente disponibili le somme di spettanza dell’ente indicate nella delibera stessa, anche in caso di notifica di pignoramento o di pendenza di procedura esecutiva nei confronti dell’ente, senza necessità di previa pronuncia giurisdizionale. Dalla data di adozione della delibera l’ente non può emettere mandati a titoli diversi da quelli vincolati, se non seguendo l’ordine cronologico delle fatture così come pervenuto per il pagamento o, se non è prescritta fattura, dalla data della deliberazione di impegno.
Secondo la giurisprudenza prevalente, il creditore procedente che intenda far valere l’inefficacia del vincolo di destinazione ha l’onere di allegare gli specifici pagamenti per debiti estranei eseguiti successivamente alla delibera, mentre, in base al principio di vicinanza della prova, spetta all’ente locale provare che tali pagamenti sono stati eseguiti in base a mandati emessi nel rispetto del dovuto ordine cronologico.
6. Il dissesto finanziario
Un ente locale è in dissesto finanziario quando non è più in grado di assolvere alle funzioni e ai servizi indispensabili oppure quando esistono, nei confronti dell’ente, crediti liquidi ed esigibili di terzi ai quali non si possa far fronte, a causa di un grave stato di insolvenza (art. 244 D.lgs. n. 267/2000 c.d. TUEL).
La situazione di dissesto finanziario di un ente locale sussiste nel caso in cui lo stesso possa garantire l’assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili, oppure non possa far fronte a crediti azionati nei suoi confronti da terzi, né attraverso il ripristino del riequilibrio del bilancio, né con lo straordinario riconoscimento del debito fuori bilancio.
La fattispecie del dissesto economico finanziario è disciplinata dagli artt. 242 e ss. del Testo Unico degli Enti Locali (TUEL).
La dichiarazione di dissesto finanziario è adottata dal consiglio comunale, con delibera non revocabile, ed ha efficacia per cinque anni.
Ai sensi dell’art. 245 TUEL, i soggetti della procedura di risanamento sono l’Organo Straordinario di Liquidazione (OSL), nominato con Decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministero dell’interno, e gli organi istituzionali dell’ente (Giunta e Consiglio Comunale). L’OSL provvede al ripiano dell’indebitamento pregresso con i mezzi consentiti dalla legge, mentre gli organi istituzionali dell’ente assicurano condizioni stabili di equilibrio della gestione finanziaria rimuovendo le cause strutturali che hanno determinato il dissesto
In particolare, l’OSL provvede alla:
- rilevazione della massa passiva;
- acquisizione e gestione dei mezzi finanziari disponibili ai fini del risanamento anche mediante alienazione dei beni patrimoniali;
- liquidazione e pagamento della massa passiva.
Il D.lgs. n. 149/2011 ha introdotto il c.d. “dissesto guidato”, quale procedura per velocizzare l’attuazione dei necessari provvedimenti normativi da parte degli amministratori nel caso di condizioni finanziarie critiche.
In particolare, l’art. 6, comma 2, D.lgs. n. 149/2011 prevede che, se dagli ordinari controlli sull’ente da parte della Corte dei Conti emergano comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria, violazioni degli obiettivi della finanza pubblica allargata e irregolarità contabili o squilibri strutturali del bilancio dell’ente locale in grado di provocare dissesto finanziario e lo stesso ente non abbia adottato, entro il termine assegnato dalla Corte dei conti, le necessarie misure previste dall’art. 1 comma 168 L. n. 266/2005, la competente sezione regionale, accertato l’inadempimento, trasmette gli atti al Prefetto e alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica. In seguito a tale trasmissione, l’ente ha trenta giorni di tempo per porre fine all’inadempimento; decorso il termine virgola e qualora venga accertata dalla Corte dei Conti la sussistenza delle condizioni di dissesto ex art. 244 TUEL, il Prefetto assegna al Consiglio dell’ente un termine massimo di venti giorni per deliberare lo stato di dissesto. Il decorso infruttuoso del termine comporta lo scioglimento del consiglio e la nomina di un commissario.
La dichiarazione di dissesto produce i seguenti effetti:
- dalla data della dichiarazione di dissesto e fino all’approvazione del piano di rilevanza e di estinzione della massa passiva non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti dell’ente per i debiti che rientrano nella competenza dell’OSL;
- le procedure esecutive pendenti alla data della dichiarazione di dissesto, nelle quali siano scaduti i termini per l’opposizione giudiziale da parte dell’ente, o la stessa benché proposta sia stata rigettata, sono dichiarate estinte d’ufficio dal giudice con inserimento nella massa passiva dell’importo dovuto a titolo di capitale, accessori e spese;
- non si possono contrarre mutui, con eccezione dei mutui finanziati dallo Stato e contratti per il risanamento dell’ente locale dissestato, nonché dei mutui con oneri a totale carico dello Stato o delle regioni;
- le imposte e le tasse locali, diverse dalla tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, subiscono l’aumento delle aliquote e delle tariffe di base nella misura massima consentita dalla legge e per almeno cinque anni;
La dichiarazione di dissesto incide fortemente sulla gestione del bilancio durante la procedura di risanamento; infatti, ai sensi dell’art. 250 TUEL, dalla data di deliberazione del dissesto finanziario fino alla data di approvazione dell’ipotesi di bilancio riequilibrato l’ente locale non può impegnare per ciascun intervento somme complessivamente superiori a quelle definitivamente previste nell’ultimo bilancio approvato con riferimento all’esercizio in corso, comunque nei limiti delle entrate accertate. I relativi pagamenti non possono mensilmente superare un dodicesimo delle rispettive somme impegnabili, con esclusione delle spese non suscettibili di pagamento frazionato in dodicesimi.
Per le spese disposte dalla legge e per quelle relative ai servizi locali indispensabili, nei casi in cui nell’ultimo bilancio approvato manchino del tutto gli stanziamenti ovvero gli stessi siano previsti per importi insufficienti, il consiglio o la giunta individua con delibera le spese da finanziare, con gli interventi relativi, motivando le ragioni per le quali mancano o sono insufficienti gli stanziamenti nell’ultimo bilancio approvato e determinando le fonti di finanziamento. Sulla base di tali delibere possono essere assunti gli impegni corrispondenti.
La dichiarazione di dissesto determina quindi rilevanti conseguenze nei confronti dei creditori dell’ente dissestato; essa preclude le azioni esecutive fino all’approvazione del rendiconto di gestione e assoggetta a procedure di liquidazione di competenza dell’OSL tutte le obbligazioni derivanti da fatti o atti intervenuti prima della dichiarazione di dissesto, anche se siano state liquidate in via definitiva solo successivamente. In sostanza, tutti i creditori anteriori alla dichiarazione di dissesto devono essere sottoposti al vaglio dell’OSL, con una procedura simile a quella dell’accertamento del passivo della massa fallimentare, paralizzando tutte le azioni esecutive in corso.
Inoltre, le procedure esecutive pendenti alla data della dichiarazione di dissesto, nelle quali sono scaduti i termini per l’opposizione giudiziale da parte dell’ente, o per il caso in cui la stessa, benché proposta, è stata rigettata, siano dichiarate estinte d’ufficio dal giudice e l’importo dovuto a titolo di capitale, accessori e spese è inserito nella massa passiva. Ne consegue che eventuali pignoramenti eseguiti dopo la deliberazione dello stato di dissesto non vincolano l’ente ed il tesoriere, i quali possono disporre delle somme per i fini dell’ente e le finalità di legge.
Il divieto di intraprendere o proseguire azioni esecutive nei confronti dell’ente riguarda anche i giudizi di esecuzione di giudicati che si siano formati successivamente alla dichiarazione di dissesto, ma per fatti o atti anteriori alla dichiarazione medesima, e si estende anche al ricorso di ottemperanza (v. par. 7), ad eccezione dei casi in cui l’azione di ottemperanza abbia un contenuto di cognizione, in quanto rivolta, ad esempio, a quantificare le somme effettivamente dovute in base ad un giudicato che si sia limitato a fissare criteri generali.
Infine, ai sensi del comma 4 dell’art. 248 TUEL, dalla data di deliberazione del dissesto e sino all’approvazione del rendiconto i debiti insoluti a tale data non producono interessi né sono soggetti a rivalutazione monetaria.
Ai sensi dell’art. 254 TUEL l’OS.L., entro 180 giorni dall’insediamento, provvede all’accertamento della massa passiva mediante la formazione di un piano di rilevazione. A tal fine, l’O.S.L. predispone un avviso della procedura di rilevazione delle passività ente locale entro 10 giorni dalla data dell’insediamento, invitando chiunque ritenga di averne diritto a presentare, entro un termine perentorio di 60 giorni prorogabile per una sola volta di ulteriori 30 giorni, la domanda corredata da idonea documentazione, atta a dimostrare la sussistenza del debito dell’ente, relativo importo ed eventuali cause di prelazione, per l’inserimento nel piano di rilevazione.
Nel piano di rilevazione della massa passiva sono inclusi:
- i debiti di bilancio e fuori bilancio di cui all’art. 194 TUEL verificatisi entro il 31 dicembre dell’anno precedente quello Dell’ipotesi di bilancio riequilibrato;
- i debiti derivanti dalle procedure esecutive estinte ai sensi dell’art. 248, comma 2 TUEL;
- i debiti derivanti da transazioni compiute dall’organo straordinario di liquidazione ai sensi del comma 7.
Sull’inserimento nel piano di rilevazione delle domande e delle posizioni debitorie decide l’organo straordinario di liquidazione con provvedimento che deve essere notificato agli istanti al momento dell’approvazione del piano di rilevazione, tenendo conto degli elementi di prova del debito desunti dalla documentazione prodotta dal terzo creditore.
L’OSL è autorizzato a transigere vertenze giudiziali e stragiudiziali relative a debiti rientranti nelle fattispecie di cui al comma 3 dell’art. 254 TUEL, inserendo il debito risultante dall’atto di transazione nel piano di rilevazione.
Conclusa la fase di istruttoria e di verifica delle istanze, l’OSL deve provvedere ad accogliere o meno la richiesta, e può proporre ai creditori forti riduzioni percentuali del credito.
L’art. 258 del TUEL disciplina una procedura semplificata di accertamento e liquidazione dei debiti, attivabile su proposta dell’OSL, con possibile definizione transattiva dei debiti nella misura tra il 40% e 60%. Una volta completata la procedura di risanamento, coloro i quali non hanno accettato la proposta di transazione conservano pienamente le ragioni creditorie.
7. Il giudizio di ottemperanza
Il giudizio di ottemperanza dinanzi al giudice amministrativo è un procedimento utilizzato per dare esecuzione ad un provvedimento nei confronti di una pubblica amministrazione o ente pubblico, che non abbia ancora adempiuto a tale provvedimento. Si tratta di una procedura che può essere utilizzata per il recupero crediti vantati nei confronti della P.A. in alternativa rispetto al pignoramento (mobiliare, immobiliare o presso terzi).
La P.A. è infatti tenuta ad eseguire il giudicato e, per nessuna ragione né opportunità amministrativa o di difficoltà pratica, può sottrarsi a tale obbligo; in particolare, la P.A. non può invocare difficoltà finanziarie per sottrarsi al pagamento delle somme oggetti di giudicato.
Per poter utilizzare il giudizio di ottemperanza è necessario che l’esistenza del credito e l’inadempimento della Pubblica amministrazione siano stati accertati in una sentenza o in un altro provvedimento analogo. In particolare, L’art. 112, comma 1, del Codice del processo amministrativo (D.lgs. n. 104/2010) prevede che tra i provvedimenti che possono essere oggetto del giudizio di ottemperanza rientrano anche le sentenze passate in giudicato e gli altri provvedimenti ad esse equiparati del giudice ordinario, ovvero anche il decreto ingiuntivo non opposto o la cui opposizione sia stata rigettata, e le ordinanze di assegnazione del credito emesse dal giudice dell’esecuzione nel procedimento di esecuzione forzata.
Per ottenere la concreta esecuzione di tali provvedimenti, il giudizio di ottemperanza deve essere proposto davanti al TAR nella cui circoscrizione ha sede il giudice che emesso il provvedimento di cui viene chiesta l’attuazione. Non è necessario inviare alcuna preventiva diffida scritta alla P.A. inadempiente per poter avviare il giudizio di ottemperanza, fermo restando che, come esposto, prima di iniziare il giudizio di ottemperanza è necessario che siano trascorsi 120 giorni dalla notifica della sentenza o del decreto ingiuntivo (v. par. 2).
Se il ricorso viene accolto, il TAR ordina l’ottemperanza del provvedimento, cioè, dispone le relative modalità, anche mediante la determinazione del contenuto del provvedimento amministrativo o l’emanazione dello stesso il luogo della P.A., emettendo una nuova sentenza nella quale assegna un termine entro il quale la P.a. deve adempiere.
In caso di perdurante inadempimento della P.A., il Giudice fissa altresì una sanzione pecuniaria per il ritardo nell’adempimento e dispone l’intervento di un commissario straordinario (cd. commissario ad acta), il quale provvede ad obbligare la P.A. debitrice al pagamento della somma dovuta.
Il commissario ad acta è infatti un ausiliario del giudice che ha il compito di sostituirsi alla P.A. inadempiente, in modo da consentire al creditore di ottenere il pagamento dei suoi crediti.
È proprio l’intervento del commissario ad acta a caratterizzare l’efficacia del rimedio dell’ottemperanza, ai fini del recupero del credito. I poteri del Commissario ad acta sono infatti molto estesi, essendo egli legittimato ad adottare ogni misura conforme al giudicato che si appalesi in concreto idonea a garantire il recupero del credito. In particolare, il commissario ad acta non è tenuto al rispetto dei vincoli procedurali ordinari dell’azione amministrativa, ivi compresi quelli che regolano l’emissione dei mandati di pagamento, potendo egli decidere, se necessario, di apportare variazioni al bilancio dell’ente, di alienare beni patrimoniali disponibili, stipulare mutui, o infine disporre il pagamento rateizzato delle somme dovute.
Avv. Valerio Pandolfini
Avvocato Recupero Crediti
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