Recuperare giudizialmente i crediti: b) l’esecuzione forzata
Una volta ottenuto un titolo esecutivo contro il debitore, è possibile procedere all’esecuzione forzata sui beni di proprietà del debitore o sui crediti da quest’ultimo vantati nei confronti di terzi. Secondo il principio generale posto dall’art. 2740 del codice civile, ogni debitore risponde delle proprie obbligazioni con tutto il proprio patrimonio.
Qualora pertanto il debitore non onori i propri debiti, il creditore può quindi espropriare il debitore dei propri beni (mobili, mobili registrati, immobili, crediti), sottoponendo a pignoramento tali beni per ottenere il soddisfacimento dei propri crediti con il ricavato dalla vendita o dall’assegnazione di tali beni. Tale espropriazione si svolge secondo una precisa procedura, regolata dalla legge; il debitore, qualora ritenga che la legge sia stata violata, può proporre opposizione, chiedendo al Giudice di controllare il rispetto delle regole ed eventualmente annullare l’esecuzione.
In generale, l’esecuzione forzata nei confronti del debitore è possibile se:
a) il debitore possiede beni, o comunque beni sufficienti a soddisfare il creditore;
b) tali beni non sono già pignorati o ipotecati (su questo aspetto vedi oltre).
Se queste condizioni – che possono essere accertate dal creditore prima di promuovere l’azione legale, con un’analisi approfondita in merito alla solvibilità del debitore – si verificano, il creditore può recuperare il proprio credito, al termine dell’esecuzione forzata (che può protrarsi per mesi o per anni, a seconda del tipo di esecuzione).
E se invece tali condizioni non si verificano, cosa accade? Cosa accade cioè se il debitore non possiede beni aggredibili in sede di esecuzione forzata, o tali beni non sono sufficienti a consentire il soddisfacimento del credito, ad esempio perché di esiguo valore o perché già pignorati o ipotecati?
In tal caso il creditore ha una sola possibilità: quella di chiedere il fallimento del debitore, sempre che si tratti di un soggetto fallibile (cioè se sia un imprenditore commerciale, se abbia avuto, nei tre esercizi precedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento un attivo patrimoniale complessivo annuo superiore a Euro 300.000 e ricavi lordi complessivi annui superiori a euro 200.000, se abbia un ammontare di debiti superiore a euro 500.000 e se il credito per il quale il creditore agisce è superiore a Euro 30.000,00).
Dichiarato il fallimento del debitore dal Tribunale, il creditore potrà depositare domanda di ammissione al passivo fallimentare e concorrerà con gli altri creditori nella distribuzione del ricavato dalla liquidazione dell’attivo fallimentare (sempre che un attivo sussista) nel rispetto dell’ordine di prelazione, cioè nella “graduatoria” dei creditori stabilita dalla legge (in base ai privilegi: Stato, lavoratori, creditori ipotecari, etc.). Purtroppo se il creditore è chirografario (cioè se il suo credito non è privilegiato, come spesso accade) le probabilità di ottenere il soddisfacimento del credito sonoesigue, per non dire remote.
Ma questa (cioè la dichiarazione di fallimento del debitore) è comunque l’alternativa migliore; se infatti il debitore non è fallibile (perché mancano i presupposti di cui sopra) al creditore non rimane altro da fare che dedursi fiscalmente la perdita, rinunziando per sempre a riscuotere il proprio credito (ed anzi dopo averci rimesso ulteriori costi in termini di spese legali). Ecco perché, prima di intraprendere qualsiasi azione legale, è assolutamente opportuno analizzare la situazione patrimoniale del debitore.
Ma torniamo all’esecuzione forzata nei confronti del debitore, ed ipotizziamo che il debitore possegga dei beni aggredibili. Il primo passo che il creditore deve fare – tramite il suo legale – è notificare l’atto di precetto, cioè un’intimazione formale al debitore di adempiere, con l’avvertimento che in difetto si procederà ad esecuzione forzata. Notificato tale atto il creditore deve attendere 10 giorni prima di iniziare la vera e propria esecuzione, cioè prima di chiedere il pignoramento. Decorsi 10 giorni, l’esecuzione può finalmente iniziare.
L’esecuzione forzata sui beni del debitore può avere luogo in tre diverse modalità, che differiscono tra loro a seconda dei beni che vengono sottoposti a pignoramento, e ognuna delle quali è regolata da una diversa procedura.
1.Esecuzione mobiliare
Questo tipo di esecuzione forzata ha per oggetto i beni mobili del debitore (ad es.: denaro, attrezzature, macchine, gioielli, etc.). Si tratta della procedura esecutiva che dà minori garanzie al creditore di soddisfarsi del proprio credito, per una serie di ragioni, tra cui:
a) non tutti i beni mobili del debitore possono essere pignorati: ad esempio, non possono essere pignorati i beni che servono al sostentamento del debitore, quelli che servono al debitore per svolgere la propria attività lavorativa, etc.; ciò restringe il novero dei beni che possono essere sottoposti a pignoramento.
b) I beni mobili, per loro natura, possono essere facilmente rimossi, occultati, venduti o comunque sottratti dal debitore; il debitore infatti sa con anticipo che il creditore inizierà un’esecuzione forzata nei suoi confronti ed ha dunque tutto il tempo di disfarsene in vari modi;
c) Quasi tutti i beni mobili, una volta venduti all’asta, perdono gran parte del proprio valore, in altri termini vengono venduti ad un prezzo di realizzo di gran lunga inferiore al loro valore effettivo; ciò significa che il creditore per avere qualche probabilità di recuperare in tutto o in parte il proprio credito deve pign0rare beni mobili che hanno un valore commerciale almeno triplo rispetto all’ammontare del credito (il che ovviamente non è facile, e spesso impossibile).
Ecco perché l’esecuzione mobiliare tra le varie forme esecutive è quella meno efficace per il creditore, tranne i casi in cui il credito da recuperare sia di modesto importo.
2. Esecuzione presso terzi
In questo caso, ciò che viene pignorato sono i crediti che il debitore vanta verso terzi; il caso tipico è costituito dai crediti da attività lavorativa, o dai crediti nei confronti delle banche (ad esempio le somme giacenti sul conto corrente).
Questa forma di esecuzione dà certamente maggiori garanzie al creditore. Anche in questo caso, peraltro, vi sono dei limiti previsti dalla legge alla pignorabilità dei crediti, che possono ostacolare il recupero del credito; ad esempio, i crediti da retribuzione sono pignorati solo in misura di 1/6.
Ma il problema principale che tale tipo di esecuzione pone è quello di individuare i crediti del debitore che possono essere pignorati, dato che non è facile per il creditore conoscere se e quali crediti sono vantati dal proprio creditore.
Inoltre, vi è una ulteriore incertezza data dai tempi nei quali viene eseguito questo tipo di pignoramento; non è detto infatti che i crediti che esistevano al momento in cui il creditore ne viene a conoscenza, siano poi esistenti, o comunque, abbiano lo stesso ammontare, quando poi effettivamente il creditore effettua il pignoramento (ad es. sul conto corrente del debitore potrebbe non esservi più la somma che giaceva qualche giorno prima, o comunque un importo più ridotto).
Ciò rende questo tipo di esecuzione piuttosto difficile da intraprendere con successo per il creditore; è essenziale l’accuratezza delle informazioni da questi possedute e la tempestività con cui il pignoramento viene eseguito.
3. Esecuzione immobiliare
Questa forma di esecuzione forzata ha per oggetto gli immobili di proprietà del debitore (case, fabbricati, terreni). Si tratta certamente della tipologia di espropriazione che dà maggiori garanzie al creditore di recuperare il proprio credito, dato il valore piuttosto elevato di tali beni, la loro semplice rintracciabilità (è sufficiente infatti una visura presso la Conservatoria) e la non facile occultabilità o dispersione da parte del debitore.
I problemi che tale tipo di espropriazione presenta sono essenzialmente due:
a) In primo luogo, se gli immobili sono già ipotecati a favore di altri creditori, il creditore (che non sia munito di garanzia ipotecaria, o che ne abbia una di grado inferiore) rischia di non recuperare il proprio credito in tutto o in parte, dato che il ricavato dalla vendita del bene verrà devoluto prima ai creditori ipotecari, e al creditore chirografario verrà assegnata solo la parte del ricavato dalla vendita che rimane;
b) In secondo luogo, la procedura che regolamenta questo tipo di esecuzione è molto lunga, complessa e costosa per il creditore; sono infatti necessarie numerose incombenze processuali, occorre depositare molta documentazione (ed anticipare importi notevoli per spese legali) e prima di arrivare al soddisfacimento del credito occorre attendere vari anni, anche in rapporto ai tempi che occorreranno prima di vendere all’asta il bene. Inoltre, la procedura può essere resa ulteriormente complicata se ad esempio il bene pignorato non è di proprietà esclusiva del debitore, ed occorre procedere alla divisione.
Da quanto sopra esposto emerge chiaramente come la procedura esecutiva costituisce una sorta dicorsa ad ostacoli per il creditore: difficoltà di individuare i beni pignorabili, difficoltà di realizzare un ricavato dalla vendita sufficiente a recuperare il credito (e le spese legali anticipate), possibili opposizioni, costo e lentezza della procedura possono rendere molto difficile al creditore ottenere l’effettivo recupero del proprio credito. Il creditore rischia di trovarsi, al fine della procedura (e quindi dopo anni), senza avere recuperato il proprio credito se non in piccola parte, e di avere nel frattempo sopportato ulteriori costi legali, anche notevoli.
Di qui l’importanza di valutare con attenzione l’effettiva solvibilità del debitore prima di iniziare un’azione legale di recupero e la successiva esecuzione, acquisendo un preciso report patrimoniale dello stesso.
Avv. Valerio Pandolfini
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